Cap. 10 - Pag. 388

Cap. 10 - Pag. 389 

condiziona il modo di lavorare e di vendere secondo le vecchie tradizioni, dove si ricusa l’impatto appena decennale di certi repentini stravolgimenti tecnicistici e consumistici sotto casa propria. Certi moduli edonistici tendono al convertimento, lentamente, come il tarlo fa col legno, o la goccia con la pietra, facendo leva sul martellamento pubblicitario legato al modello sociale planetario di benessere illusorio, attraverso espedienti come il risparmio ottenuto coi prodotti di serie, o l’adescamento dei supermercati, che eliminano perdite di tempo prezioso, utilizzato, poi, per i giorni di lotta, atta a procurarsi altro danaro, e ancora risparmiare al solo scopo di rispendere. Un circolo vizioso come la tossico- dipendenza, ma legale ed istituzionalizzato da cui nessuno, non solo non può, ma non deve sottrarsi. Qualcuno dei tipografi che è riuscito a costruire il capannone, magari dietro un compromesso stipulato coi fiori all’occhiello, è finito magari ghettizzato in un lussuoso appartamento dei quartieri bene, europeizzato ed irrimediabilmente escluso dal calore della Napoli oleografica dove i sostegni psichici essenziali di solidarietà, di contatto umano,

ancora si osservano nei mercatini rionali o quelli domenicali di Piazza Ferrovia, o di Poggioreale, nelle botteghe, nelle case-giardino delle vecchie costruzioni spagnole. Le stesse officine industriali dei quotidiani della capitale del sud hanno definitivamente visto dissolto il calore umano che esalava, all’unisono, dai precordi dei giornalisti e tipografi e dai crogiuoli delle linotype. Era l’ardere del piombo fuso ad accomunare autori e tipografi in una sola famiglia. Le notizie sprigionavano anch’esse la soavità di una metropoli ancora lontana dalla giungla urbana, animata dalle Piedigrotte, dalle serene periodiche domenicali e dallo strabenedetto pane e ppummarole, e dal derivato sacrale ragù, o dalla defilippiana ritualità di pasta e fagioli o caffè che scendeva. Oggi pure i napoletani il caffè lo fanno salire per dimostrare che il mondo, nell’arco di pochi decenni, è cambiato da così a così, grazie all’indomita ascesa industriale. Nelle redazioni dei giornali, anch’esse linde ed asettiche come gli ospedali, il giornalista infreddolisce per l’assenza dei crogiuoli, per la nefandezza delle notizie, per il suo esclusivo rapporto di lavoro con ...il terminale.