condiziona il modo di lavorare e di vendere secondo
le vecchie tradizioni, dove si ricusa l’impatto appena decennale di
certi repentini stravolgimenti tecnicistici e consumistici sotto casa
propria. Certi moduli edonistici tendono al convertimento, lentamente,
come il tarlo fa col legno, o la goccia con la pietra, facendo leva sul
martellamento pubblicitario legato al modello sociale planetario di
benessere illusorio, attraverso espedienti come il risparmio ottenuto
coi prodotti di serie, o l’adescamento dei supermercati, che eliminano
perdite di tempo prezioso, utilizzato, poi, per i giorni di lotta,
atta a procurarsi altro danaro, e ancora risparmiare al solo scopo di
rispendere. Un circolo vizioso come la tossico- dipendenza, ma legale ed
istituzionalizzato da cui nessuno, non solo non può, ma non deve
sottrarsi. Qualcuno dei tipografi che è riuscito a costruire il
capannone, magari dietro un compromesso stipulato coi fiori all’occhiello,
è finito magari ghettizzato in un lussuoso appartamento dei
quartieri bene, europeizzato ed irrimediabilmente escluso dal calore
della Napoli oleografica dove i sostegni psichici essenziali
di solidarietà, di contatto umano,
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ancora si osservano
nei mercatini rionali o quelli domenicali di Piazza Ferrovia, o di
Poggioreale, nelle botteghe, nelle case-giardino delle vecchie costruzioni
spagnole. Le stesse officine industriali dei quotidiani della capitale
del sud hanno definitivamente visto dissolto il calore umano che
esalava, all’unisono, dai precordi dei giornalisti e tipografi e dai
crogiuoli delle linotype. Era l’ardere del piombo fuso ad accomunare
autori e tipografi in una sola famiglia. Le notizie sprigionavano anch’esse
la soavità di una metropoli ancora lontana dalla giungla urbana, animata
dalle Piedigrotte, dalle serene periodiche domenicali e dallo
strabenedetto pane e ppummarole, e dal derivato sacrale ragù, o
dalla defilippiana ritualità di pasta e fagioli o caffè che scendeva.
Oggi pure i napoletani il caffè lo fanno salire per dimostrare che
il mondo, nell’arco di pochi decenni, è cambiato da così a così,
grazie all’indomita ascesa industriale. Nelle redazioni dei giornali,
anch’esse linde ed asettiche come gli ospedali, il giornalista
infreddolisce per l’assenza dei crogiuoli, per la nefandezza delle
notizie, per il suo esclusivo rapporto di lavoro con ...il terminale.
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